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Saliscendi

  • Writer: Laura Frascarelli
    Laura Frascarelli
  • Jun 24, 2020
  • 4 min read

Si sta dentro un cerchio piccolo. La vita dentro è piccola, c’è chi ce l’ha troppo affollata. Io troppo solitaria. La vita grande sembra sparita. Si sta dietro una finestra senza affaccio o con un affaccio troppo stretto. Regna il silenzio e manca prospettiva. Questo cerchio piccolo è un grande specchio. Sola io e il mio specchio vischioso. Non voglio più vedere. Non voglio più sentire.

Invece vedo, guardo il mio passato e riconosco enormi cerchi concentrici di corse contro il tempo, di viaggi lontani, di carte e discorsi di una vita senza centro. Fretta e concitazione. A cosa riesce ad abituarsi l’essere umano: ci si infila dentro vicoli ciechi stretti in abiti stretti e ci si sta talmente dentro da non riuscire più ad alzare la testa. Si vedono solo piedi. Destra, sinistra, destra, sinistra, destra, sinistra.

Non voglio più vedere, non voglio più sentire. Non voglio più toccare. Ho già perso l’abitudine al tocco. Qui non c’è nessuno che mi tocchi. Non possiamo più toccarci. Resta solo il polpastrello di un dito a dirigere un’orchestra digitale senza musica.

E se, invece, ogni mattina scendessi dal letto e aprissi la finestra come un rito sacro e preparassi il mio caffè con devozione e riordinassi la cucina e le idee con profondi respiri di accettazione e gratitudine, forse non avrei più timore, forse con le mie paure potrei giocarci. Sentirei le risate di bambina, ci sarebbe una cena semplice condita di verità, un film complice, un libro sincero all’abat-jour, sentirei le parole arrivare da lontano e il corpo rinascere. Attimo per attimo.

Siamo nelle mani di noi stessi. Perché in realtà io l’ho sentito che qualcosa si stava rompendo, in una notte di febbraio con luna calante. Ho acquistato l’abbonamento annuale di pendolare ed ho sentito una fitta allo stomaco. Il fiato che mancava. No, un altro anno così non ce la faccio. Voglio lasciare tutto. 280 km di binari al giorno, 8 ore di scrivania, 13 ore fuori casa. Perché? Non sono più io, non mi riconosco. Questa vita non mi appartiene. E’ un compromesso di sopravvivenza che mi sta uccidendo.

Poi è successo l’inimmaginabile, l’imponderabile, e l’essere umano è stato rinchiuso nella sua cella di detenzione. Grande, piccola, provvisoria, definitiva. E poi, pur nel suo chiacchiericcio, si è silenziato: è bastato spegnere la tv, staccarsi dai social. La natura nel frattempo si è riappropriata dei suoi spazi. L’aria si è fatta più limpida, anche se non posso sentire il vento grande che soffia nei capelli. C’è il vento piccolo che soffia nei polmoni, il soffio dell’anima. Mi nutro di piccolo soffio. E’ già aprile. Quanto tempo è passato? Non ricordo più. Le domeniche sono uguali ai lunedì. Il tempo non è più una linea retta ma una bolla densa. La settimana scorsa sembra ieri, due mesi fa somiglia a un anno e mezzo. Bello perdersi in questo nuovo senso del tempo.

Ma poi di nuovo nero, nero, profondo nero, melmoso. Più che melma, catrame. Il mio io è un pozzo profondo dove urlano demoni. Lo attraverso a lungo a carponi e strisciando, con lacrime pesanti, quasi disperazione. E’ come se dovessi spurgare non so bene cosa. E vado avanti così per giorni in un cerchio sempre più piccolo e denso quasi asfissiante. Sto male. Sto malissimo. Mi rimbombano dentro pensieri strani, il mio ego instabile. Un vortice depressivo. Scivolo sempre più in basso. Mi sento inadeguata a tutto. A ciò che ero prima, a ciò che sono ora.

Calma. Respirare. Respirare.

Mi affaccio. C’è luna piena. Luna gigante. La vedo tutta, dalla mia piccola finestra. Entra nella piccola stanza la rende spazio grande. Tutta quella luna qui dentro. Si. La luna in fondo al pozzo. Forse la mia salvezza. Io sono tra i fortunati, dicono. Posso lavorare da casa. Ho uno stipendio a fine mese. Siamo tutti nella stessa tempesta, non siamo tutti nella stessa barca, dicono.

Sono nelle mie mani. Punto. Metto queste mani, le estremità, le articolazioni, le giunture, in collegamento con il cervello e tutto in risonanza con il cuore. Non mi serve lamentela. Mi serve concentrarmi. Andare dentro e tirare fuori. Anche se dentro c’è il buio. Dargli luce. Mi muovo, studio, leggo, scrivo, disegno. Parlo con le piante sul balcone. Ascolto gli uccelli lì fuori. Annuso l’aria. Forse sto delirando. La tecnologia mi serve. Torno ad usarla. Ricomincio a parlare con esseri umani attraverso la tecnologia. Parlo con la tecnologia cercando umanità. Apro una nuova finestra sul mondo. Ma che succede? Il grande cerchio là fuori si muove. C’è molta rabbia, molto brulicare, c’è molta energia dispersa. Non ascolto per non farmi assorbire. Cerco anime affini. Le trovo. C’è scambio. C’è sintonia. C’è verità. C’è chi sta peggio. Chi è senza soldi. Chi ha perso ragione di vita. Chi il lavoro era vivere. Vivere. Esistere. Cos’è. Io voglio vivere. Ora. Qui. Nel piccolo cerchio. Va bene. Posso espandermi se mi dò la possibilità di farlo. Respiro. Ascolto. Sento nel vento la voce di chi implora aiuto. Campare con 600€. Campare con meno di 600€. L’usuraio che arriva puntuale. La disperazione. La violenza domestica. Le fragilità abbandonate a loro stesse, senza più rete sociale, senza contenitore. Tutto sospeso. Le ipocondrie inventate sono arretrate, sono rimaste solo le malattie vere, ma il medico è in affanno. La paura di un virus con la corona. L’uomo ha perso la sua corona, ha perso il suo regno, ha abdicato per illusioni e finte verità, dicono. E’ così, ne sono sempre più convinta. I bambini non vanno a scuola. Impareranno altro, oggi, impareranno ad adattarsi, sempre. Ma devono poter tornare a scuola domani. Magari in un prato. Magari sotto un albero. La vita non si arresta. Facciamo una caccia al tesoro, cerchiamo il nostro regno perduto! Lo troviamo nei piccoli borghi, nei piccoli spazi, nell’armonia tra gli elementi. La mia terra terremotata, ferita ed ignorata da tutti: è da lì che possiamo ricominciare. Ci vuole un piccolo orto e animali che razzolano nel cortile e ricominciare ad ascoltare il tempo. Vivere il tempo. Essere il tempo. Essere il vento, il piccolo vento. Mettere ali, diventare il grande vento. Annusare libertà. Annusarsela tutta. Viverla, in questo momento, in ogni cerchio. Accogliere. Rispettare. Nutrire. Ascoltarsi. Dare. Abbracciarsi. Guardarsi negli occhi. Nuovi occhi.


(Testo premiato al concorso letterario "Tempi sospesi" sul periodo del lockdown)


(Ph: Unsplash)

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Piedi al vento

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