Era qualcosa dentro di sé (ingranaggio inceppato)
- Laura Frascarelli
- Apr 12, 2020
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Updated: Apr 13, 2020
Erano giorni che girava come un cane randagio intorno a quella scrivania. La puzza dell’incertezza di nuovo lì a farsi sentire con il suo odore acre e nauseabondo. Ancora una volta le solite parole vuote di sempre. “Ma sì, vedrai che non ci sono problemi, vedrai che andrà tutto bene. Stai tranquillo!” E pacca sulla spalla.
Stare tranquillo! Stare tranquillo è facile per uno che non ha niente da perdere, per uno che prende la vita alla leggera, uno che un lavoro vale l’altro. Ma non per lui.
Lui era preciso, ordinato, metodico, puntuale, a volte finanche un po’ pignolo, ma comunque intelligente, preparato, con esperienza, affidabile, cordiale. E al suo lavoro ci teneva. “Ci teneva assai” come avrebbe detto con la sua simpatica cadenza da emigrato napoletano.
E soprattutto 47 anni, una famiglia, il mutuo per la casa e tanti pensieri.
E come ogni volta, anche questa volta stava lì a rosicchiarsi le dita, in alternativa alle sigarette abbandonate da tempo, e in attesa di avere un responso, un giorno o l’altro. Il tempo stringeva. Lui svolgeva il suo lavoro quotidiano con la solita calma apparente.
Se lo salutavi ti sorrideva, ma non ti guardava. Occhi persi. Il pensiero sempre fisso lì: “finora è andata bene, alla fine le promesse le hanno sempre mantenute…ma se mi fregano?”
Poi, a soli cinque giorni dalla scadenza naturale del contratto, finalmente l’amministrazione gliela fece la proposta che tanto aspettava, quella del tempo indeterminato. Ma gliela fece in cambio di due condizioni: un licenziamento volontario perché così… beh, certo, così sarebbe stato molto più semplice poterlo riassumere in tempi brevi, e poi, ecco… data la prospettiva di un lavoro stabile, un bel taglio in busta paga.
Una doccia gelata, un pugno nello stomaco o forse una testata in faccia sarebbero stati meno dolorosi dell’umiliazione provata in quel momento.
Se ne uscì da quella stanza con la solita compostezza dignitosa che lo contraddistingueva ma sentì di essere stato tradito.
Sentì rodersi dentro. Sentì un rumore sordo che proveniva da dentro di sé, dalle viscere, dall’anima. In quella stanza di colloquio il suo corpo si era trasformato. Ne era uscito con gli occhi iniettati, i capelli arruffati, la camicia scomposta, la giacca sbilenca, la fronte imperlata, l’incarnato ingiallito. Era come se avesse combattuto un match di boxe. Invece aveva solo firmato un pezzo di carta. Era come se quel gesto gli fosse costato dieci anni di vita.
Lo strano rumore sordo di ingranaggio inceppato di ferraglia arrugginita lo accompagnò fino al bar. Sì, perché quella sera prima di rientrare a casa decise di fermarsi per una birra. E una sigaretta. La sigaretta più profonda della sua vita. Boccate di amarezza e delusione. Era come se il fumo che usciva dalle narici e dalla bocca provenisse direttamente dal falò che gli bruciava dentro.
Si sentì solo. Solo come quel barbone sul ciglio della strada davanti, nascosto tra stracci e cartoni.
Comprò un’altra birra. Attraversò la strada. Gliela porse sorridendo. Anche l’altro sorrideva, ma non lo guardava. Occhi persi. Chissà dov’era la sua mente e quali rumori sentiva uscire da dentro di sé…
(Racconto nato dalle esercitazioni di Inchiostro Interiore con Thomas 8 Zinzi
Ph: web)
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